Quindici anni: età problematica, ormoni in fermento e barba ancora troppo morbida. Età di depressione, con "Drive" degli R.E.M. e la morte di Freddie Mercury che non aiutavano affatto. Ma c'era anche "Il Vitello dai Piedi di Balsa", e questa band milanese che ancora non capivo abbastanza ma che già si era scavata un posto tutto speciale in mezzo alla mia discografia; un posto che, ancora oggi, resiste al tempo e, dopo restauri e ampliamenti vari, è diventato più un museo che un santuario. Ma torniamo al 1992, e al "Vitello dai piedi di balsa": la radio locale lo trasmetteva censurato, riempiendo di beep la parte finale dell'orsetto, al punto tale che ho scoperto che era ricchione solo molti anni dopo. Ma io, imperterrito, alzavo al massimo il volume di quel vecchio impianto stereo grigio argento, uno di quei sistemi integrati con giradischi, sintonizzatore e lettore a cassette tipico degli anni '70. Quell'impianto era, per me, la porta d'accesso alla musica, e non so quante ore ho speso in simbiosi con quell'apparecchio, registrando su cassetta le canzoni dalla radio o dai dischi che mi prestavano. Poi, un giorno, si ruppe: era il 1994, il 2 maggio per la precisione. Quel giorno moriva Ayrton Senna, e morì anche il mio stereo; ma lo fece con un sorriso, perché stava suonando "Pippero" degli elii.