"Se la Columbia University si imbatte in Mangoni..."

05 dicembre 2011

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E' con grande piacere (e anche con una punta di imbarazzo) che riceviamo e pubblichiamo questa testimonianza critica rispetto alla nona puntata di Area Edificabile, a opera del Professor Francesco Benelli, Associate Professor presso il Department of Art History and Archaeology della Columbia University di New York! Il Professore (che ringraziamo smodatamente e le cui credenziali, in caso non vi fidaste, sono rintracciabili qui e qui), aveva già espresso il suo parere positivo nei commenti all'articolo, ecco dunque il suo pensiero esposto in maniera approfondita e dettagliata, siamo onorati di condividerlo con tutti voi:


New York, 2 Dicembre 2011 Ho molto apprezzato il video di 5.18 minuti dal titolo “L’abusivismo edilizio nell’arte”, girato dall’architetto Luca Magoni. Oltre al sarcasmo ed all’ironia che contraddistinguono l’opera extra-architettonica di Mangoni (purtroppo non conosco la sua produzione professionale), mi ha colpito l’idea di analizzare i paesaggi naturali ed artificiali di alcuni capolavori della pittura italiana tardo medievale e rinascimentale contestualizzandoli in una storia dell’abusivismo architettonico italiano, uno sforzo penso, che anche il prof. Salvatore Settis possa appezzare. Il “gioco” inventato da Mangoni in realtà contiene – involontariamente, ma non ne sono sicuro – almeno 3 aspetti che vale la pena sottolineare e quanto meno approfondire, seppur negli stretti limiti di questa mia brevissima e veloce riflessione. E’ assolutamente vero che senza l’architettura dipinta di Giotto, Raffaello, come del resto tutti i pittori del Rinascimento, non avrebbe mai concepito un edificio - in questo caso il tempio - cosí dirompente sia dal punto di vista visivo che simbolico. Giotto infatti prima ad Assisi, e poi a Padova, nella cappella degli Scrovegni, per la prima volta dopo secoli, almeno dal cosiddetto secondo stile pompeiano (fine del I secolo) riporta l’architettura dei fondali pittorici di tipo bizantino ad un’importanza visiva e narrativa mai raggiunta fin’ora. Questa dirompente novità si può spiegare con l’interesse del pittore toscano, unico a quel tempo, per le fonti classiche, bassorilievi antichi, mosaici, affreschi e le rovine stesse. Tali convenzioni/innovazioni pittoriche avranno un incredibile fortuna, e saranno adottate per almeno altri quattro secoli. Nello specifico, Giotto esemplifica che la rappresentazione del Tempio non segue un modello iconografico preciso, ma si adatta alle forme architettoniche del proprio presente, norma accettata da Raffaello il quale – influenzato dal suo maestro il Perugino - rappresenta un tempio ebraico costruito in Palestina prima della nascita di Cristo, in un edificio a pianta centrale puramente rinascimentale, ovvero contemporaneo. A suo modo é quindi vero che un tempo, nel fondale pittorico c’era una “semplice baracchetta”. Il secondo motivo di interesse è quello “dell’espressione malinconica” della Madonna del Prato in relazione al deturpamento del paesaggio. Anche in questo caso Mangoni intuisce il legame empatico, tipico della pittura post-giottesca, fra l’individuo pensante ed emozionale e la natura circostante, temi che comuque sono stati ampiamente trattati dalla storiografia del XX secolo. Tuttavia la ragione per la quale questo video mi ha veramente colpito é di tipo metodologico: Mangoni é un architetto formatosi in una facoltà di Architettura, non proviene quindi da una formazione da storico dell’arte, anche se l’interesse per la pittura chiaramente traspare. Ebbene, la sua lettura dei dipinti, per quanto surreale essa sia, rivela una complicata questione disciplinare della storia dell’arte: la diversa interpretazione dell’architettura e del paesaggio da parte dello storico dell’arte e da parte dello storico dell’architettura. Quest’ultimo, vede il paesaggio per quello che é, e gli edifici come se fossero rappresentazioni di strutture possibili o ritratti di architetture (per usare una definizione di Erwin Panofsky), senza individuare necessariamente il loro significato simbolico ed iconografico. Tale tipo di analisi, é molto poco diffusa nella letteratura artistica, e questo é un limite dannoso alla comprensione del significato generale di un’opera d’arte in quanto tutti gli aspetti strettamente architettonici (linguaggio, composizione, struttura, proporzioni etc.) inerenti agli edifici dipinti in piú delle volte, sfuggono agli storici dell’arte. Ecco quindi il motivo per cui ho ammirato il breve video: Mangoni, credo, ma senza offesa, ignaro di questo problema metodologico, affronta la lettura dell’opera d’arte senza alcun pregiudizio disciplinare, legge semplicemente i fondali pittorici per quello che sono, ma caricandoli di significati e problemi tragicamente attuali. Basandosi sulla classica formula retorica del metodo comparativo, Mangoni impiega i propri e genuini strumenti interpretativi, mettendo cosí in luce aspetti e potenzialità dell’opera d’arte fin’ora sottostimanti o ignorati e dando l’esempio che gli impulsi provenienti dall’esterno di uno specifico campo disciplinare sono quelli che contribuiscono alla crescita del dibattito e quindi della cultura. Complimenti all’architetto Mangoni per questa brillante idea e per la maniera in cui l’ha concretizzata.

Francesco Benelli Associate Professor Department of Art History and Archaeology Columbia University New York

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