Il nome di Feiez

23 dicembre 2013

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Da Vite Bruciacchiate - Ricordi confusi di una carriera discutibile Il nome di Feiez di Faso Una cosa che faccio fin da bambino è inventare un sacco di soprannomi alle persone a cui voglio bene. Paolo Panigada è una delle persone a cui ne ho affibbiati di più. Quando Paolo è entrato nel gruppo, gli abbiamo dato il nome d’arte Mu Fogliasch. Mu Fogliasch si è velocemente trasformato in Mon Foglia, Sfoglia, Foyasc, Fognak, Fegnek ed infine Feiez, che sarebbe diventato il suo nome ufficiale di battaglia. “Feiez” ha rappresentato una specie di cellula primigenia, dalla quale la fantasia e lo storpiamento verbale prendevano il via alla ricerca di nuove invenzioni. Così, dopo neanche un anno di frequentazione, lo chiamavo già Filz. Filz nasceva da un salame con un nome che ci faceva molto ridere: la filzetta. Sulla filzetta ben presto è iniziato quello che si potrebbe definire un “processo di tormentonizzazione”, e cioè la creazione di un mondo immaginario in cui il soggetto ha una sua storia personale più o meno particolareggiata e surreale. Nel caso della filzetta, ad esempio, la pelle aveva un ruolo importantissimo: chi mangiava anche la pelle, era un ribelle. In che senso? È così e basta: se mangi la filzetta con la pelle, sei ribelle; se non mangi la pelle, non sei ribelle. Dopo un po’ la filzetta è diventata la “velzetta”, un salame che non esiste ma che comunque ha la pelle e che quindi può svelare se sei ribelle o no. E Feiez è diventato il Vèlz. Vèlz si è subito trasformato in Véseghel, senza un perché. Nell’estate del ’92 io e il Véseghel eravamo in vacanza all’isola d’Elba con altri amici, e un pomeriggio, semimmersi nell’acqua, giocavamo col pallone ad “asino”. Il gioco classico, si sa, prevede che ci si tiri la palla disposti in cerchio, e che chi sbaglia guadagni una alla volta le lettere della parola “asino”. Ma asino, come parola, non ci piaceva, e allora abbiamo deciso che si diventava tutti “véseghel”. Non solo: chi sbagliava doveva entrare per penitenza nel cerchio e ballare, mentre gli altri cantavano in coro una canzone dal sapore brasileiro di cui ricordo esattamente il testo: “Vesegheu Vesegheu / tu ti manji filzao / e porquè sei ribenji / manji tutta a pellao. Vesegheu Vesegheu / tu ti manji filzao / ma se non sei un ribenji / non manjare pellao.” Il bello è che nel team acquatico c’erano tre ragazze appena conosciute in spiaggia che cantavano e ballavano il Vesegheu assieme a noi. Il Véseghel, finita la vacanza, si era già trasformato in Visenthal Visent, o anche Visent, ed infine un po’ Vizzent, che è il protagonista della fiaba inventata da Elio, Natale a casa Vizzent. Qualche tempo dopo è scattata una fase francofona, e Feiez è diventato il Foyage. Il Foyage era un prodotto immaginario capace di creare un velo protettivo sulla superficie su cui veniva spalmato, e “Foyage, protegge!” era lo slogan della campagna pubblicitaria ideata per lanciarlo sul mercato. A quei tempi ero musicalmente ottuso: avevo l’apertura mentale di un cardinale del Cinquecento e pensavo che la musica fosse quella che ascoltavo io, e il resto eresia da ardere sul rogo. Una volta ho sentito Peter Gabriel affermare che una certa arroganza è la caratteristica peculiare dei giovani artisti. Sarà... Comunque ero un pirla. Il Foyage invece era un fruitore di musica a 360°. Nella sua collezione di lp e cd potevi trovare qualsiasi tipo di espressione musicale di qualità, e lui te li faceva ascoltare tutti al momento giusto. Durante una trasferta in auto piazzò nel lettore il The Best degli Earth Wind & Fire, che consideravo disco music di merda, e a fine viaggio ero diventato un fan della band. Quando ascoltavamo insieme la musica non la ascoltavamo semplicemente: la vivevamo. Vuol dire mimarla, sentirla sulla e con la pelle (senza essere ribelle), anticipare ogni fill di batteria, i fiati, gli assoli di chitarra, i giri di basso, fare la “faccia degli accordi”. È difficile spiegare cos’è la faccia degli accordi. Un accordo alterato di estrazione jazzistica genera un’espressione del volto ed una postura del corpo molto diverse da quelle del sol minore nell’intro di Shine on You Crazy Diamond dei Pink Floyd. Un buon esempio è il suono “vox humana” del Mellotron usato dai Genesis: si mima con la bocca che dice “oooooh” e le mani protese con le dita larghe. Recentemente con Elio e Jantoman abbiamo stabilito che il vero cultore dei Genesis si riconosce dalla capacità di fare quella faccia lì. Ai tempi non conoscevo Zappa, e il Foyage mi regalò “Joe’s Garage” con una dedica scritta a pennarello sulla copertina del cd: “Che Foyage ti protegga!” Mi ha protetto un sacco di volte. Poi è venuto il Beaujolais, che proprio come il vino francese aveva due caratteristiche: era “nouveau” ed anche “arrivé”. In quel momento della nostra vita eravamo tutti single o quasi. Essere single non vuol dire necessariamente essere felici, ma se stai lavorando al tuo disco da mesi e riemergi dallo studio Psycho alle tre del mattino dopo esserci disceso alle dodici del giorno precedente, essere single è vantaggioso. In quella condizione di singolitudine, il Beaujolais aveva organizzato a casa sua una cenetta con due ragazze di Crema, nel senso della città, non quella pasticcera. Cenetta perfetta, le giovani donne contente e bendisposte, magari si potrebbe anche limonare. Invece noi vitelloni giochiamo due ore a tradurre in inglese alcune espressioni tipiche del dialetto lombardo, che culminano in una inventata dal Beaujolais: “Hello Josef!” Sarebbe a dire? “Ciao Pep!” E giù a ridere. Poco dopo le tipe se ne vanno senza aver limonato con noi. Mentre lavoravamo a “Esco dal mio corpo e ho molta paura” è nata una generazione anomala di soprannomi che prendevano inaspettatamente le mosse da “Panigada”. Feiez è diventato così il Punagedi, o anche Punajedi (da cui il film mai girato da George Lucas Il ritorno del Punajedi), per poi approdare a Punène. Punène aveva solo una caratteristica particolare: mostrava a tutti il pène. Ok, ma poi cosa accade? Niente, mostra il pène e finisce lì. Attenzione, bisogna pronunciare tutto con la “è” aperta tipo Cher: punène-pène. Feiez ha cantato nelle vesti di Brother Punène nella canzone Faro. In questo periodo vede la luce anche un soprannome fantastico che è nato dal nulla, come per incanto: Mondo. È stato uno dei miei preferiti, forse perché non è neanche un nome strano: è una parola comune che racchiude in sé tutto un... mondo! Successivamente appaiono Boglia e Bogliasco (proprio come la cittadina), che convivono serenamente dividendosi la scena. Boglia mi sembra fosse un richiamo fonetico all’antico Fogliasch, però con uno sviluppo più ampio: il Bogliaphone. Brevettato dal dott. Boglia, il Bogliaphone è uno strumento favoloso di altissima tecnologia che può fare tutto. Non riesci a programmare un suono di tastiere? Usa il Bogliaphone. Non si accende l’automobile? Collega il Bogliaphone al cruscotto e scoprirai cosa c’è che non va. Poi arriva il periodo dei fichi, e il nuovo nome di Paolone è Fufafifi. Non riesco a ricordare come si è generato; comunque non contiene “fichi”. Non li contiene perché i fichi sono dominio del suo temuto rivale: il Fufafichi. Il Fufafichi è un essere fantastico, tipo l’unicorno o la fenice; nessuno sa com’è fatto e di lui si conosce solo un aspetto inquietante: mangia tutti i fichi, ma proprio tutti. Anzi, se hai lasciato dei fichi in giro, soprattutto i fichi fioroni, affrettati a mangiarli, perché potrebbe arrivare il Fufafichi e spazzolarteli in un attimo. L’unico modo per arginare l’insaziabile Fufafichi è circondarsi di fichi d’India, che lui teme tantissimo e che gli fanno un effetto tipo Superman con la kriptonite. Mentre lavoravamo a “Eat the Phikis”, qualsiasi tipo di problema poteva essere risolto con i fichi. Il suono del basso non ti piace? Prova a mettere un fico sull’amplificatore e vedrai che migliorerà. Sei giù di voce? Fai un impacco alla gola con i fichi. Fichi immaginari dappertutto. Una volta, dopo aver nascosto un paio di fichi veri dietro gli altoparlanti delle casse giganti dello studio A, mi lamentavo per qualche difetto di risposta in frequenza. Il Fufafifi va a controllare le casse, trova i fichi e senza battere ciglio dice: “Ho trovato il guasto: è colpa del fico fiorone, se è maturo non risponde oltre i 16.000 hertz.” Abbiamo dovuto sospendere la session da quanto ridevamo. Ci ritrovavamo sovente da soli la mattina in Psycho per incidere linee guida di basso, percussioni o fiati. Non mi è più capitato di lavorare in studio in quel modo, con un feeling che non riesco a spiegare a parole, entusiasmandomi per una nota giusta al momento giusto, in un continuo interscambio di idee e sperimentazioni senza limiti. Cappuccio e brioche al bar per far riposare le orecchie? Ok, poi si ricomincia. Una sera, io Elio e Feiez stavamo passeggiando per le vie di Crema, quando un ragazzo saluta Feiez in una maniera inaspettata: “Ciao Panino!”, ed Elio: “Come ti ha chiamato?”, e Feiez: “No, niente... È un nomignolo di quando ero piccolo, sai, Panigada... Panino.” E noi: “Ah. Ok. Che facciamo adesso, Panino?” “No, dai, Panino no!” Forza Panino!
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